home

Press

 

 

 

1000 DISCHI FONDAMENTALI

a cura di Eddy Cilia e Federico Guglielmi

Giunti Editore (collana Bizarre) - 2012

 

XTC

Drums And Wires

(Virgin 1979)

 

Tamburi e fili elettrici. Un titolo quasi auto-esplicativo per uno dei vertici della prima produzione degli XTC, nonché uno dei più conosciuti dal grande pubblico (per merito soprattutto di una canzone presente in scaletta). Ovvero: ritmi, più o meno pazzi e più o meno costipati, e scosse di energia, come da prontuario della new wave ma senza i toni gravi e oscuri che in quel 1979 stava già assumendo il genere. Non hanno ancora indossato il loro miglior vestito pop, gli swindoniani, ma alcuni pezzi brillano già di una orecchiabilità assoluta. Come Life Begins At The Hop o Ten Feet Tall, ad esempio. Come soprattutto Making Plans For Nigel, la canzone cui si accennava poche righe più su, un sinuoso e appiccicoso tormentone con un riff percussivo indimenticabile, che spopolò nelle discoteche più o meno alternative del periodo. Altrove i tagli sono più netti, gli spigoli più affilati, i colori primari: lo dimostrano l’isteria e le cacofonie di When You’re Near Me Difficulty e Complicated Game, ovvero Andy Partridge al amassimo della sua vena scorbutica. Ma c’è anche il country straniante di Outside World, a testimoniare un eclettismo pop che verrà esplorato appieno nel decennio che stava per iniziare.

 

XTC

English Settlement

(Virgin 1982)

 

Se, come spesso è stato teorizzato, gli XTC sono stati i Beatles degli anni ’80, questo è il loro WHITE ALBUM. Alan Partridge [sic], che da sempre è mente e anima della band di Swindon insieme all’inseparabile Colin Moulding, disse che “ENGLISH SETTLEMENT è il primo dei nostri dischi colorati”. Questioni cromatiche a parte, questo doppio album prodotto da Hugh Padgham non è certo l’unico capolavoro nella discografia – qualitativamente straordinaria – della band, ma rappresenta comunque l’apice artistico della prima parte della sua storia. È qui che il diorama pop degli XTC è finalmente apprezzabile in tutta la sua complessità e raffinatezza: un po’ del nervosismo e delle andature sghembe degli esordi (qualificati con troppa leggerezza come “punk”) permangono ancora, ma la scaletta ha un respiro più ampio, gli arrangiamenti si fanno sia più vari che più accessibili, e in generale emerge trionfante la radicale britannicità di Partridge & Moulding (qui affiancati dal chitarrista Dave Gregory, che rimarrà con loro a lungo, e dal batterista Terry Chambers, che invece abbandonerà dopo il disastroso tour successivo, pietra tombale sull’attività dal vivo per il gruppo).

Le canzoni nascono quasi tutte intorno agli accordi della chitarra acustica e alle linee ritmiche di un basso fretless, e in molti casi fanno pensare a un chimerico incrocio tra funk alla Talking Heads e folk inglese.

Brani come Leisure, Jason And The Argonauts, i consueti gioiellini di Moulding come Fly On The Wall e Ball And Chain, per non parlare del singolo da Top 10 Senses Working Overtime, sono la fonte alla quale si sono abbeverati futuri campioni del britpop come Blur e Pulp. Lavoro dai toni a tratti bucolici, rappresenta quanto di più ambizioso gli XTC avessero inciso fino a quel momento. La copertina cita una famosissima e antica figura rupestre, il cavallo bianco di Uffington, che si trova a pochi chilometri da Swindon: altro indizio della rinnovata passione anglocentrica della band.

 

XTC

Skylarking

(Virgin 1986)

 

La copertina araldica di questo album introduce perfettamente – al contrario del titolo, scelto quasi per contrasto: skylarking significa “far baldoria” – alle atmosfere di pastorale dolcezza che caratterizzano buona parte delle canzoni. Lavoro tra i più melodici, misurati e aggraziati nel catalogo XTC, questo disco prodotto (tra mille litigi) da Todd Rundgren è imperniato su bozzetti naif alla Ray Davies/Paul McCartney, tradotti a volte nella visione pop multi colorata di un Brian Wilson, altre in un sobrio e autunnale linguaggio folk. Il brano più famoso è quello che nella prima versione in vinile non compariva neppure: si tratta di Dear God, una implacabile professione di ateismo da parte di Andy Partridge che dal punto di vista lirico rappresenta uno dei momenti più memorabili nella storia del gruppo.

 

 

 

 

press