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XTC - THIS IS POP

di Emanuele Pietripaoli
JAM n. 49 - Maggio 1999

Photo by Valerie Philips

 

   Ce l'abbiamo fatta. Dopo un lungo periodo di incertezza, (gli XTC concedono interviste? Come? Quando? Dove?), ecco l'intervista a Andy Partridge, mente degli XTC, band britannica ormai "storica" ma per nulla ammuffito, tornato alla ribalta con la pubblicazione dello splendido - cofanetto Transistor Blast e del più recente album in studio Apple Venus Vol 1. E' solo pop, ma ci piace. 

photo Valerie Philips

Ridotto ai minimi termini lo schema universale dei pop è quanto di più semplice si possa immaginare: strofa, ritornello, un ponte e poco altro. La canzone quindi, più che il suono, e la canzone deve essere immediata ma non banale, intrigante ma non intricata. 
Per vent'anni gli XTC hanno offerto la loro personale interpretazione dei pop senza diventare mai veramente popolari: troppo originali, troppo intelligenti per incontrare i favori dei grande pubblico. Oggi, a sette anni di distanza dal loro ultimo album, è il momento di Apple Venus Vol. 1, un disco inaspettatamente complesso, elaborato, lontano mille miglia dalla linearità degli esordi. A un primo ascolto, devo ammetterlo, sono rimasto perplesso: sono ancora loro, gli XTC? Poi ho capito che, nonostante i raffinati arrangiamenti orchestrali, l'arte di scrivere canzoni non è andata perduta. 
Ecco, Andy Partridge e gli XTC sono sempre stati e sono ancora adesso ciò che il pop dovrebbe essere e che ormai solo raramente riesce ad essere. Una questione di gusto, intelligenza e talento. E anche, come scoprirete leggendo le parole di Partridge, di magia e di colori.

Innanzitutto raccontaci quello che è successo dalla pubblicazione di Nonsuch fino ad oggi.
Nulla di ciò che ha detto il New Musical Express, non sono stato chiuso in casa a guardare la televisione. Abbiamo passato sei anni in un 'limbo legale', perché abbiamo cercato di lasciare la Virgin (casa discografica per la quale la band ha pubblicato i suoi dischi fin dagli esordi, nda) e loro non ce lo volevano permettere. Allora gli abbiamo detto che eravamo pronti a scioperare, e così è stato: cinque anni di sciopero durante i quali abbiamo continuato a comporre tanto da arrivare a materiale buono per quattro album. Il materiale dei primi due album è stato poi ridotto fino a farne diventare uno solo, che poi è Apple Venus Vol. 1, il meglio degli altri due album invece sarà pubblicato con il nome Apple Venus Vol. 2. Quindi siamo stati davvero molto impegnati, con il gruppo e in altri progetti. Oltretutto io ho divorziato da mia moglie per poi ricominciare una nuova storia d'amore. Diciamo che in questo modo ho iniziato anche una seconda vita personale... 

Avete scelto a priori di realizzare un disco orchestrale? 
Sì, è stata una scelta precisa. Già in Nonesuch c'erano alcuni episodi che dimostravano come stessimo andando proprio in questa direzione, mi riferisco a canzoni come Wrapped In Grey, Rook, Omníbus e per certi versi anche Bungalow. Insomma, ci stavamo spostando verso la musica orchestrale e questo non perché il nostro intento fosse quello di avvicinarci a un modello di musica classica, tutt'altro. Quando ero bambino l'unica musica che potevi ascoltare era quella passata dalle radio inglesi e in quel periodo - fine anni Cinquanta, inizio anni Sessanta - le radio inglesi erano spostate su quello che veniva definito light entertainment, vale a dire orchestre che interpretavano gli hit del giorno oppure musiche tratte dai musical come My Fair Lady e West Side Story. Non c'era alcuna stazione pop-rock fino verso la fine degli anni Sessanta. Gli ascolti della mia infanzia mi hanno influenzato molto: ai tempi dopo un po' mi annoiavo, ma con gli anni sono ritornato ad apprezzare quei suoni e ora ho voluto reinterpretarli.

Com'era l'atmosfera durante le registrazioni dell'ultimo disco? 
Il clima era di vera frustrazione perché dopo cinque anni passati senza pubblicare il mio lavoro, le versioni demo erano diventate per me molto familiari e questo è un errore, bisognerebbe sempre allontanarsi dalle proprie canzoni e non riprenderle in mano a distanza di tempo. Io e Dave Gregory abbiamo litigato per questo motivo e anche con il produttore, che è un ottimo produttore, ci sono state delle frizioni dato che io non condividevo il suo metodo di lavoro che per me era troppo lento.

Perché Dave ha lasciato il gruppo?
Non voleva lavorare con un'orchestra. Ha vissuto questa scelta come un insulto personale, lui è un chitarrista elettrico e sono poche parti per chitarra elettrica in questo disco; io volevo avere a che fare con violoncelli, viole, eccetera, insomma con tutti i colori di un'orchestra, e Dave, così come Colin Moulding e me, non avrebbe dovuto suonare alcun strumento. Dave ha reagito male dicendomi: "Questo è un tuo disco solista, non ha nulla a che fare con me, perché non te lo registri da solo?'. 

photo Valerie PhilipsColin invece era soddisfatto dal suo contributo al songwriting dei disco (Moulding ha scritto solo due brani su undici, nda)? 
No, non era affatto soddisfatto e questo paradossalmente per me è stato un bene. Io infatti divento più forte nelle mie convinzioni quando qualcuno si oppone a me. Inoltre ho scritto molto materiale quando il mio matrimonio andava a rotoli e sono stato altrettanto prolifico nel momento in cui mi sono innamorato di nuovo, per cui ci tenevo a queste canzoni. Colin nello stesso periodo ha scritto alcune buone canzoni, ma non tanto buone per un disco che deve essere venduto. 

Apple Venus Vol. 2 sarà un disco sostanzialmente rock? 
Sì, sarà senza orchestra e molto più semplice rispetto al primo, ci saranno sicuramente più chitarre, ma in ogni caso è un contesto che continua a divertirmi e interessarmi. Il pubblico non vedrà molta continuità tra le due opere, appunto perché sono diverse. 

Qual è la parte dei tuo lavoro che preferisci? 
Fin dall'inizio della mia carriera sono sempre stato affascinato dalla scrittura dei brani e dalla registrazione degli stessi, si tratta di momenti magici nei quali crei qualcosa, come produrre un metallo prezioso dal nulla, è opera di magia. Non amo suonare dal vivo e non amo considerare me stesso come una persona famosa, non amo essere adulato e non ho bisogno di qualcuno che mi applauda per avere gratificazioni nel mio lavoro. 

Ora ti consideri un songwriter? Il nuovo disco sembra infatti un'opera di un songwriter più che l'espressione di un gruppo. 
E' vero. Il sentimento di essere un vero gruppo è scomparso molto presto nella carriera degli XTC, questo è un processo naturale che coinvolge tutte le band, pensa ai Beatles, ai Rolling Stones o a qualsiasi altra formazione. La mentalità cambia rapidamente, infatti i gruppi all'inizio non sono altro che gang di ragazzini che si uniscono insieme, quando poi cresci ti allontani subito dalla mentalità da gang e ti disponi a entrare nel mondo adulto. Così è successo anche per me, ma nel momento in cui cambi mentalità la tua musica migliora e acquisisci tutta una gamma di colori che non avevi agli esordi quando non disponevi di nessun colore. 

Come è nata la collaborazione con Harold Budd per il disco Through The Híll? La vostra formazione e il vostro background musicale sono molto differenti... 
E' nata da un'intuizione di un amico mio che vive in Giappone. Nel 1992 sono andato all'inaugurazione di un negozio di dischi e la settimana successiva Harold Budd avrebbe tenuto dei concerti proprio in Giappone. L'amico mi chiese se io ed Harold avessimo mai fatto qualche cosa insieme e gli risposi: "No, tuttavia amo molta la sua musica". Seppi poi che Harold disse le stesse cose di me e così ci ritrovammo per un matrimonio di convenienza che funzionò però molto bene. Ci intendemmo immediatamente e ci lanciammo in un processo di improvvisazione che ci ha assorbiti per due settimane. 

photo Valerie PhilipsCon lui hai potuto utilizzare idee e soluzioni che ti erano precluse negli XTC? 
Quelle cose che ho tirato fuori con lui non le avevo mai espresse prima, ma erano state sempre dentro di me. Ogni volta che registravamo un disco con la band io ero sempre l'ultimo ad andare via, c'era sempre qualcosa in più che volevo fare, qualcosa di più sperimentale e più libero. Credo ancora che un buon 50% di quel disco sia davvero buono e mi piacerebbe collaborare ancora con lui.

Cosa pensi quando ascolti band che hanno ripreso vostre intuizioni? 
Molti gruppi sono stati bravi nel prendere ispirazione dagli XTC, ma non sono stati altrettanto bravi nell'ammetterlo. I Blur lo hanno ammesso, ma sono un'eccezione, soprattutto in Inghilterra dove, a differenza di altri paesi come Italia e Giappone, siamo considerati decisamente uncool. Per noi è imbarazzante.

Strano ... 
Certo, strano, ma gli inglesi sono persone strane. Mi piacerebbe che in un modo o nell'altro ci fosse riconosciuto qualcosa, anche soltanto che ci si accusi di avere influenzato alcune band, ma ciò non accade. Sono amareggiato. 

Hai anche cercato di produrre un disco dei Blur...
No, no. Non ci ho nemmeno provato. Me lo hanno chiesto, ma poi la loro casa discografica ha ritenuto che il materiale poteva suonare troppo alla XTC e non se ne è fatto nulla. Penso però che ci siamo incontrati in un momento della loro carriera nel quale erano davvero confusi e non sapevano quale direzione intraprendere. 
Apprezzo però la loro onestà e la loro creatività. 

C'è un tuo disco dei quale sei particolarmente orgoglioso? 
No, non uno solo perché mi piacciono canzoni che sono sparse in diversi dischi. Le mie cinque preferite sono Rook su Nonesuch, una canzone che mi ha emozionato fino alle lacrime quando l'ho scritta; River Of Orchids e Easter Theatre - quest'ultima poi è la mia preferita di sempre - su Apple Venus Vol. 1; Chalkhills And Childrens su Oranges And Lemons; Season Cycle da Skylarking. 

E dai primi dischi degli XTC? 
Nessuna naturalmente, penso che nessuna canzone sia abbastanza buona da essere inserita tra le migliori. Stavamo provando la nostra arte, erano prove pratiche, con Black Sea abbiamo cominciato a capire qualcosa, ma eravamo davvero troppo naive e avevamo tanto da imparare. Visto con la distanza dei tempo, questo spirito innocente mi affascina. 

photo Valerie PhilipsA proposito di imparare, tu hai lavorato con tantissimi produttori, molti dei quali di grande talento. Chi ti ha insegnato di più?
Ti farò tre nomi per tre differenti ragioni. John Leckie perché è stato il nostro primo produttore e perché ha rimosso in noi tutti i timori, tutte le paure ed è riuscito a catturare in un'istantanea musicale quello che eravamo al tempo. Ha solo un modo per produrre, ma in quello è davvero molto abile. Il secondo nome è quello di Todd Rundgren, la persona più difficile e talentuosa con la quale mi sia capitato di lavorare, un vero mostro che ti legge dentro la testa per capire le suggestioni che dovranno poi ispirare gli arrangiamenti. Infine Paul Fox, un gentlemen di buone maniere che tratta gli artisti come fossero suoi figli. 

Quando è stata la tua ultima performance su un palco? 
Poco tempo fa in Giappone ho letto dei testi ed ero ad fronte ad un pubblico.... 

Intendevo dire quando hai suonato dal vivo l'ultima volta ... 
Penso che fosse verso la fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti per una esibizione acustica nel programma di Dave Letterman. Francamente non ne sento la mancanza.

E ti vedremo mai tornare a fare concerti? 
Possibile, perché no, ma non è quello che mi interessa fare, voglio impegnarmi a fondo nella realizzazione di dischi. Non è una chiusura aprioristica la mia, è solo una valutazione di merito: ci sono artisti che danno il loro meglio su un palco e altri che si esprimono al massimo in studio. Guarda i Rolling Stones, grandissimi performer, però non scrivono una buona canzone da quanto tempo? Diciamo vent'anni? Il contrario per gli U2, protagonisti di live show monolitici, al tempo stesso autori di album che dimostrano una grande immaginazione.

 

 

 

 

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