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XTC - English Settlement

(Virgin, 1982)

di Federico Guglielmi

AUDIOREVIEW n. 118 luglio/agosto 1992 - Rubrica AUDIOPHILE RECORDING

 

   Non è magari il capolavoro assoluto degli XTC, «English Settlement», anche se in un eventuale sondaggio tra i fan raccoglierebbe di sicuro un congruo numero di «nomination». Non è neppure quello che più di ogni altro brilla per pregi di registrazione, quello baciato dal maggior successo o quello più adatto a fungere da riassunto degli oltre quindici anni di carriera dell'ensemble di Swindon; a non è neanche l'unico in mio possesso, o il solo a far pane dello stock del mio «pusher» di fiducia al momento di stendere questa rubrica. Perché, allora, è proprio «lui» - massì, conferiamogli pure dignità umana - a fare bella mostra di sé in «Audiophile Recording», e non un altro dei dieci album (antologie a dischi sotto pseudonimo esclusi) della band britannica? Beh, forse perché appena qualche mese orsono è stato «festeggiato» il decennale della sua uscita, o perché della sua scaletta fanno parte tre singoli strepitosi a sempre attuali come «Senses Working Overtime, «Ball And Chain», a «No Thugs in Our House», o ancora perché la sua durata doppia (72 minuti di musica divisi tra quindici episodi) lo rende almeno sulla carta più appetibile; certo, mi sarei potuto invece occupare del frizzante «Drum And Wires» del 1979, oppure del penultimo (anch'esso doppio) «Oranges and Lemons» (1989), ma vista che tutte le fatiche degli XTC vantano standard qualitativi sempre elevati a si allacciano - pur nella diversità di orientamenti a sfumature - al medesimo cliché stilistico, ritengo che la scelta di «English Settlement» possa essere largamente condivisa. In caso di dissenso, però, nessuno vi vieta di procurarvi - in aggiunta od in alternativa - i due titoli poc'anzi citati, magari assieme a «Skylarking» del 1986, al recentissimo «Nonsuch» od a «Chips from the Chocolate Fireball», il CD (purtroppo fuori catalogo, e quindi di disagevole reperibilità) che raccoglie «25 O'Clock» a «Psonic Psunspot», i due 33 giri psichedelici incisi dal gruppo come Dukes of Stratosphear.

   Fondati net 1976 dal chitarrista Andy Partridge a dal bassista Colin Moulding, entrambi anche cantanti e compositori oltre che spericolati acrobati del pentagramma, gli XTC sono una «cult-band» tra le più apprezzate dalla critica internazionale; anacoreti del music-business, con il quale rifiutano quanto più possibile i contatti, non suonano dal vivo dall'ormai lontanissimo 1982 a profondono tutto il loro talento nella stesura a nell'incisione dei loro brani, nella realizzazione di geniali a divertentissimi video-clip e nell'ideazione di bizzarre copertine in «limited edition». Dall'esordio ad oggi non hanno mai cambiato etichetta, e nel corso degli anni oltre a raccogliere consensi di vendita mai straordinari ma comunque sempre apprezzabili - hanno collaborato con produttori di prestigio (Steve Lillywhite, Steve Nye, Todd Rundgren), imponendosi fra i colleghi e presso il pubblico più attento come autentiche istituzioni, veri a propri «mostri sacri» nel pur mutevole e controverso panorama «Pop» d'oltremanica; un «Pop», beninteso, del quale incarnano lo spirito più genuino, sagace e progressista, lontanissimo dalle insulse «miserie di stagione» per adolescenti cerebrolesi che l'industria discografica non si fa scrupolo di gratificare di tale nubile appellativo. «Pop», nelle canzoni degli XTC. significa infatti vivacità di atmosfere. Significa armonie aggraziate a ritmi di facile presa, ma anche soluzioni quantomai originali a intriganti. Significa liriche imbevute di ironia, ricerca di intrecci sonori complessi ma non per questo privi di immediatezza, capacità di proporre musica fuori dagli schemi consueti la cui forza di carattere è pari soltanto alla sua invidiabile classe. Non è un caso che il gruppo trovi il suo unico legittimo termine di paragone -attitudinale a solo incidentalmente stilistico: «the times they are a-changin'», per dirla con il vecchio Bob - nei Beatles, che del vero «Pop» (sempre con. l'iniziale in maiuscolo) sono stati tra i più acclamati apostoli. Con Colin Moulding a travestirsi da Paul McCarteney a Andy Partridge ad interpretare il ruolo del «guru» John Lennon, per fortuna senza alcuna Yoko Ono a rincoglionirlo a con una popolarità troppo esigua per far deflagrare la follia latente di chissà quale novello Mark Chapman.

   Definite dunque, seppure in modo approssimativo, le coordinate all'incrocio delle quali gli XTC hanno eletto il loro domicilio musicale, non resterà che puntare i riflettori su «English Settlement», suggestivo e imprevedibile collage costituito da potenziali «hit» a base di cadenze insistenti, ballate ipnotiche, filastrocche allucinate a gioiellini di sapore quasi lisergico; ardito e fascinoso nelle sue architetture sonore, scaturite dall'incontro di fragranza melodica ed alchimie di arrangiamento, l'album estrinseca ascolto dopo ascolto il suo notevole carisma, strappando l'applauso con almeno due terzi del suo contenuto. Come non rimanere folgorati da «No Thugs In Our House», tanto ossessiva sotto il profilo ritmico quanto orecchiabile? Da «Senses Working Overtime» a «Ball And Chain», contagiose nella loro allegria? Da «Yacht Dance», «All Of A Sudden», «Runaway» e «Snowman», che illuminano di nuovi significati - le prime due in modo più esuberante - il concerto di «ballata visionaria»? Dalle eccentriche frenesie, vagamente «etno-beat», di «Down In The Cockpit» a «It's Nearly Africa», o dall’estro di «Fly On the Wall»? Non è però perfetto, «English Settlement». Non per quel che concerne il lato artistico, al quale sarebbe difficile muovere qualsiasi tipo di critica, ma piuttosto per le questioni strettamente «audiophile». Precisato subito che le sue lacune sono tutt'altro che gravi, a concesse le attenuanti generiche - dieci anni fa, specie in ambito new-wave, il trend generale prevedeva una certa elasticità in materia - si dirà quindi che l'album gioca le sue carte migliori nel campo della dinamica a dell'immagine stereofonica. rilevando un autorevole impatto d'insieme ed una eccellente prospettiva. Le carenze, peraltro lievi, si avvertono semmai sul piano timbrico, dove il grande vigore degli estremi inferiori tende a privare la gamma media delta necessaria presenza e quella acuta della giusta cristallinità: ciò che si irradia dalle Quad ESL-63 utilizzate per la prova - ultimo anello della catena costituita da un CD-player HD7540 della Harman/Kardon a dal set di amplificazione GFP-555II e GFA-555II della Adcom - è dunque un sound leggermente «soffocato», che spesso impedisce alle voci ed alle trame di chitarra e tastiere di risaltare come sarebbe stato auspicabile. Ma anche se la sensazione che la resa del lavoro avrebbe potuto essere più soddisfacente resta palpabile, specie al confronto con «Skylarking», «Oranges And Lemons» «Nonsuch» (che certo hanno dalla loro una maggiore equilibrio), l'incantesimo XTC non perde per questo di efficacia, facendo di «English Settlement» un prodotto comunque interessante per gli audiofili a caccia di emozioni inedite a preziose; emozioni alle quali, fidatevi, sarebbe sciocco rinunciare per qualche dettaglio fuori posto.

di Aurelio Pasini

"Il Mucchio Extra" n. 2 - 2001  -  1981/1990 : I cento album fondamentali

 

   Per molti il nome degli XTC equivale a pop. Ed e' proprio in direzione della forma piu' riuscita di pop che la band di Swindon si e' mossa fin dagli esordi post punk datati 1978 (White Music).

   Un percorso che, limitate alcune iniziali asperita', ha trovato uno dei suoi picchi nel doppio English Settlement, nel quale il quartetto inglese formato da Andy Partridge (voce e chitarra), Colin Moulding (voce e basso), Dave Gregory (chitarre e tastiere) e Terry Chambers (batteria) riesce a toccare una varieta' impressionante di stili, in un caleidoscopio di suoni e colori che alternativamente si tinge di sonorita' folk e rock, pennellate jazz, coretti sixties, ska e persino istanze etniche (e' il caso di It's Nearly Africa), mantenendo sempre un'unita' di fondo e uno stile invidiabili, in una costante ricerca della melodia perfetta. 

   Numerosi i brani memorabili, a partire da Senses Working Overtime, Ball and Chain e No Thugs in Our House, non a caso tutti usciti anche come singoli. Abbandonati prima da Chambers e, successivamente, anche da Gregory, Partridge e Moulding - comunque gli unici autori del gruppo - sono tuttora attivi, e i loro dischi sono sempre piu' che belli, ma purtroppo scarsamente fortunati dal punto di vista commerciale. E di questo non si riesce a capire la ragione.

 

 

 

 

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